Alexander Lukashenko ha governato la Bielorussia ininterrottamente dal 1994, quell'anno si svolsero le ultime elezioni considerate libere e democratiche nella storia moderna del Paese. Da allora ogni consultazione elettorale è stata accompagnata da accuse di brogli e dalla sistematica repressione di ogni forma di dissenso. Un momento cruciale è stato il 2020 quando sono state duramente represse massicce proteste contro il regime. Cinque anni dopo l'Unione Europea e diverse democrazie occidentali esprimono gravi preoccupazioni circa la mancanza di trasparenza e imparzialità di questo voto definendolo una farsa. L'assenza di osservatori indipendenti e il controllo totale dei media da parte dello Stato non fanno che alimentare ulteriori dubbi sull'integrità del processo elettorale. Il regime inoltre è accusato di gravi violazioni dei diritti umani. Secondo le Nazioni Unite nel Paese si contano oltre 1200 prigionieri politici detenuti in condizioni spesso disumane. Giornalisti, attivisti e oppositori sono costantemente oggetto di una repressione sistematica. Questo in un Paese che occupa una posizione strategica nell'Europa orientale, per la Russia rappresenta uno stato vassallo eco dell'Impero passato mentre per l'Unione Europea costituisce una sfida politica e morale. Negli ultimi anni le tensioni si sono ulteriormente inasprite a causa delle accuse rivolte a Minsk di utilizzare i flussi migratori come strumento di destabilizzazione nei confronti dell'Europa. Le elezioni del 26 ottobre sembrano dunque destinate a riconfermare Lukashenko consolidando ulteriormente il suo regime autoritario tuttavia il futuro della Bielorussia appare incerto. Da un lato la crescente insoddisfazione di un popolo che invoca libertà e giustizia dall'altro le pressioni geopolitiche di un regime che può guardare solo a Mosca.