Netanyahu è un ostacolo alla pace, meglio sarebbe se in Israele ci fossero nuove elezioni. Lo dice il leader della maggioranza al Senato americano, e scoppia il caso. Perché Chuck Schumer è egli stesso ebreo, capo del partito del presidente, e molto vicino a Joe Biden. Nel giro di poche ore, la Casa Bianca si affretta a precisare che le parole del capogruppo erano opinione personale, non concordata con lo Studio Ovale che non ha espresso un orientamento in merito. Ma la pietra era ormai gettata nello stagno delle complicate relazioni tra Washington e Tel Aviv, fiaccate da mesi di crescente insofferenza dell’Amministrazione americana nei confronti della violenta risposta militare all’attacco subito a ottobre dal suo alleato. Non siamo una repubblica delle banane, è stata la replica stizzita arrivata a stretto giro dal Likud, il partito di estrema Destra del primo ministro israeliano. Le differenze di vedute su come uscire dal nuovo conflitto mediorientale sono sostanziali: Israele non accetta l’idea di uno Stato palestinese, che definisce terrorista, e si oppone al controllo di Gaza da parte dell’ANP, che secondo gli americani sarebbe invece garanzia di stabilità. Mentre l’Amministrazione continua a garantire a Israele aiuti economici e militari senza vincolarli al rispetto di particolari accorgimenti per minimizzare la sofferenza della popolazione civile, il Dipartimento di Stato ha annunciato nuove sanzioni, dopo quelle di febbraio, nei confronti di coloni responsabili di violenze sui palestinesi in Cisgiordania.