Norvegia, 10 anni fa la strage di Utoya

22 lug 2021
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Quando, dieci anni fa, cominciarono ad arrivare le prime notizie di una bomba e di morti nel cuore della placida Oslo il primo pensiero fu, per molti, che il nemico doveva essere straniero ed estraneo rispetto a una Nazione che non chiude le porte di casa a chiave e non conosce la pena dell'ergastolo per chi si macchia dei reati più gravi. E invece no, il nemico era cresciuto in seno a quella stessa società, come una malattia silente di cui improvvisamente, con uno shock immenso, si scopre il nome: Anders Behring Breivik, classe 1979. Lui e solo lui si è reso responsabile della morte di 77 persone, in gran parte giovanissime e con l'unica colpa di avere tanti ideali e una passione per la politica. Il primo attacco è alle 15:25 del pomeriggio. Un'autobomba esplode davanti al palazzo che ospita l'ufficio del Primo Ministro Laburista Jens Stoltenberg. Otto persone perdono la vita, 209 rimangono ferite, di cui 12 gravemente. Ma la furia omicida di Breivik non si placa, anzi si esalta. In meno di due ore raggiunge l'isola di Utoya, dove è in corso un campus organizzato dalla sezione giovanile del Partito Laburista norvegese. E lì, uno dopo l'altro, abbatte 69 ragazzi a colpi di fucile e vestito da poliziotto. Ha usato munizioni utilizzate per abbattere gli elefanti, racconteranno i giornali il giorno dopo: le pallottole Dum Dum, munizioni vietate dal codice di guerra. Non un semplice dettaglio macabro, ma l'indizio di una lucida volontà di non lasciare alcuno scampo. Ha continuato a sparare, in maniera lenta e implacabile Breivik, finché non è arrivata la polizia. Nei giorni successivi emergono in rete le sue simpatie neonaziste. In un testo di 1.518 pagine si finisce salvatore del Cristianesimo. Il 22 luglio 2011 è il giorno in cui la Norvegia ha perso la sua innocenza, non i principi su cui si fonda. Inizialmente ritenuto affetto da schizofrenia paranoide, Breivik è stato dichiarato sano di mente e quindi penalmente responsabile da una controperizia. Il 24 agosto 2012 è stato condannato a 21 anni di carcere, pena massima prevista dalla legge norvegese.

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