Difficile provare a tenere qualcosa nascosto durante una delle campagne elettorali presidenziali più velenose degli ultimi decenni. Impossibile anche per Donald Trump, che oggi trova sbattuta in prima pagina una di quelle dichiarazioni dei redditi che, fino ad ora, si era sempre rifiutato di pubblicare, nonostante tutte le proteste, soprattutto dei media, al riguardo, dato che era il primo candidato repubblicano, dai tempi di Richard Nixon, a non mostrare la sua situazione fiscale. “Forse non è così ricco come vuole farci credere o forse non paga le tasse federali” aveva insinuato Hillary Clinton durante il primo dibattito televisivo, non andando, poi, così lontana dalla verità, apparentemente. Guardando i documenti del 1995, resi noti oggi dal New York Times, si scopre che quell’anno avrebbe subìto perdite per 915 milioni di dollari, fatto che gli avrebbe permesso di eludere le tasse federali – quelle, per capire, con cui si finanziano i dipendenti pubblici, ma anche le forze armate − per quasi 20 anni. “Niente di illegale” sottolineano dal campo di Trump. “Tutto secondo quanto permette la legge”. L’unica cosa illegale sarebbe proprio la mossa del New York Times, che − come tutti i media liberal − è pronto ad usare ogni mezzo pur di fare guerra a Donald e si sarebbe procurato illegalmente questa vecchia dichiarazione dei redditi. Non a caso, gli avvocati di Trump sono pronti a perseguire il quotidiano. Il suo staff ha precisato che il Tycoon newyorkese è un uomo d’affari molto abile, che ha pagato centinaia di milioni di dollari di tasse, ma ha la responsabilità verso i suoi affari, la sua famiglia e i suoi dipendenti di non pagare più imposte di quanto sia legalmente richiesto. Nessuna smentita, dunque, e nessuna scorrettezza, ma certo una nuova grana da gestire per il candidato repubblicano che, dopo il primo dibattito, sta perdendo quota nei sondaggi, tanto da essere già pronto a cambiare strategia, iniziando ad attaccare la Clinton anche sulla sfera più privata, a partire dall’infedeltà di Bill. Da qui all’8 novembre, a questo punto, tutto è lecito, perché − come ha minacciato ieri lo stesso Trump – “la Clinton è cattiva, ma io posso esserlo più di lei”.