Proteste Bolivia, Morales dal Messico: la lotta continua

13 nov 2019
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Uno lungo scalo tecnico in Paraguay per fare rifornimento, poi l’attesa per ottenere i permessi di sorvolo tra Brasile, Perù ed Ecuador, quindi l'atterraggio. Eccolo il Presidente dimissionario della Bolivia scendere dall'aereo militare che lo aveva prelevato diverse ore prima dal Dipartimento di Cochabamba, per accompagnarlo in Messico, Paese che gli ha concesso asilo politico. “Siamo sicuri che i popoli del mondo abbiano tutto il diritto di liberarsi e porre fine all'oppressione, ma ci sono comunque dei gruppi che non rispettano la vita, né tantomeno la patria”. Le prime parole di Morales dal Messico, e questo farà parte della lotta ideologica, culturale e sociale che porteremo avanti. Stessa promessa fatta via Twitter alla vigilia della partenza, quando Morales, annunciando il suo viaggio verso il Messico, aveva assicurato che presto ci sarebbe stato un suo ritorno in Bolivia, un Paese ormai in pieno caos istituzionale, con una situazione di ora in ora sempre più esplosiva. La Polizia ha chiesto l'intervento dell’esercito, per mettere fine alle violenze che si susseguono ormai dal 20 Ottobre scorso, giorno delle contestate elezioni che hanno chiuso la parabola politica di Evo Morales, alla guida del Paese da 14 anni e alla ricerca del suo quarto mandato. Di fatto il Paese è diviso in due; da una parte i sostenitori di Morales, i militanti del Mas, dall’altra i simpatizzanti del leader dell'opposizione all'ex Presidente Carlos Mesa. Con continui atti di vandalismo e di violenze, i gruppi di entrambe le fazioni in conflitto, incendiano edifici, automobili e bus, saccheggiano negozi e supermercati. In base alla Costituzione boliviana, le dimissioni di Morales, per diventare effettive, devono essere accettate o respinte dal plenum del Parlamento, in una riunione che però non è stata ancora convocata. Dopo di lui hanno lasciato tutte le massime cariche dello Stato, appartenenti al governativo movimento al socialismo. Insomma, dall'esilio Morales sarebbe ancora a tutti gli effetti il capo di Stato di un Paese ormai sull’orlo di una guerra civile.

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