La settimana iniziata a Washington all'insegna della Convention Repubblicana si è chiusa con la marcia dell'impegno che ha portato a 50000 persone al Mall, nello stesso luogo in cui esattamente 57 anni fa Martin Luther King pronunciò lo storico discorso I have a dream. Giovedì sera, l'America è andata a dormire con il discorso conclusivo invece di Donald Trump e dal palco della Casa Bianca ha promesso legge e ordine, per soffocare le proteste che stanno infiammando le strade d'America da inizio estate, dall'omicidio di George Floyd, e venerdì mattina l'America si è svegliata con il grido di disperazione e speranza dei parenti della violenza della polizia negli ultimi anni e dei familiari delle icone del movimento dei diritti civili, a partire dai figli di Martin Luther King e di John Lewis. Anche la First Lady Michelle Obama ha fatto sentire in questa giornata la sua voce con un comunicato dicendosi stanca, frustrata del razzismo sistemico che, ha spiegato, si vede anche nel Giardino delle Rose della casa Bianca. Un chiaro riferimento al Presidente Trump e alla sua amministrazione che neanche in questi giorni di Convention ha dedicato un pensiero a George Floyd o alle vittime della violenza estrema della polizia, ma anzi ha utilizzato le derive violente della protesta per fare leva sulle paure degli elettori in vista del prossimo 3 novembre. Non a caso molti degli speaker che si sono alternati sul palco della marcia ieri hanno cercato di lanciare un messaggio chiaro a chi protesta, sintetizzato perfettamente nelle parole della sorella di Jacob Blake, afroamericano ferito domenica scorsa con sette colpi di pistola dalla polizia in Wisconsin. Ma anche tra chi manifesta ci sono posizioni contrastanti. C'è chi, ad esempio, vede il voto di novembre, come l'unica soluzione per uscire veramente a cambiare le cose e chi invece pensa che il razzismo sia ormai un problema endemico di questa società che e che alla fine, poco cambia chi c'è alla Casa Bianca.