“Se la Turchia interverrà, sarà un tradimento! Vorrà dire che l'Occidente, la coalizione, era sul territorio solo per l'Isis e non per una soluzione democratica e per la libertà di tutti!” Sono queste le parole che Dalbr Issa, a comandante delle unità femminili delle milizie curde nel nord della Siria, ha usato a margine di un'audizione alla Camera dei deputati. Dall'inizio del conflitto siriano le donne sono a fianco degli uomini come combattenti e non come testimoni impotenti. Sono ore, queste, cariche di tensione perché il rischio di un avanzamento turco viene giudicato sul terreno oltremodo concreto. I curdi sono un popolo senza patria, diviso tra 4 Nazioni, Turchia, Siria, Iraq, Iran, sempre in pericolo, perché vissuto come una minaccia, soprattutto dalla Turchia, che ha il secondo più grande esercito della NATO. Il sogno del grande Kurdistan è il peggiore incubo per Ankara, per la quale non c'è distinzione tra combattenti curdi e terroristi del PKK, il partito dei lavoratori del Kurdistan. E' dall'inizio del 2018 che il presidente turco Recep Tayyip Erdogan scalpita per avere libertà di azione nel nord del Paese, proprio lì dove i curdi hanno cacciato l'Isis, pagando un prezzo in vite umane altissime, almeno 11 mila morti! E' ai curdi, ad esempio, che si deve la caduta di Raqqa, per lungo tempo considerata la roccaforte dello Stato islamico. E ora si sentono lasciati soli dall'alleato chiave, gli Stati Uniti, alla vigilia di quell'operazione che Erdogan ha ribattezzato “sorgente di pace” e che punta a un'annessione, nella sostanza, di una Regione della Siria grande quanto il Piemonte. Per i curdi l'opzione migliore, se non l'unica rimasta sul campo, potrebbe essere quella di ritrovare un'intesa con il Presidente siriano Bashar al-Assad.