Tasse sui robot, la proposta di Bill Gates fa discutere

27 feb 2017
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Quando con il nostro computer facciamo un bonifico senza passare dallo sportello della banca stiamo usando un robot. Non un umanoide ultimo modello e nemmeno un braccio meccanico, come quelli che da decenni avvitano bulloni. Il robot del bonifico è un software e la domanda è: quella stringa di codice sta rubando un posto di lavoro? Ancora, sarebbe giusto tassare le aziende che utilizzano le nuove tecnologie al posto degli uomini in carne e ossa? Quesiti antichi, tornati di attualità dopo la proposta di Bill Gates di mettere un’imposta a carico di chi utilizza un robot o un software, come quelli della sua Microsoft. Il punto è se davvero l’intelligenza artificiale bruci posti di lavoro. A guardare i paesi con più robot oggi sembrerebbe di no: Corea del Sud, Giappone e Germania hanno tassi di disoccupazione fra i più bassi al mondo. Ma forse è troppo presto per trarre conclusioni e c’è il sospetto che i robot di un paese possano bruciare posti di lavoro in un altro. D’altra parte, gli studi non danno risposte univoche: i posti a rischio a causa dell’automazione oscillano tra il 5 e il 50 per cento, una forchetta tanto ampia da non dare certezze. Il passato, comunque, ci insegna che intere categorie di lavoratori potrebbero essere spazzate via dal progresso. È un pericolo concreto, che rischia di innescare un corto circuito. L’aumento della produttività dovuta alle macchine e la contemporanea crescita della disoccupazione pongono dei problemi reali di distribuzione dei redditi. L’impresa che sostituisce gli impiegati con i robot finirebbe per avere meno costi e più profitti. Una tassa, magari per finanziare un sostegno economico a chi perde il posto, sarebbe quindi giusta o finirebbe per frenare la tecnologia? Il dilemma è di stretta attualità, come dimostrano diverse proposte legislative. Una è stata avanzata, ma bocciata dal Parlamento europeo. Ma il dibattito sui robot apre anche un’altra questione: anziché mettere nuovi balzelli, non sarebbe meglio che i colossi dell’hi-tech versassero al fisco perlomeno quanto previsto e non il meno possibile? Dribblando le leggi dei singoli stati, i big della nuova economia, tra cui la stessa Microsoft, dirottano gli utili dove le imposte sono bassissime. Apple, per esempio, nel 2014, secondo la Commissione europea, avrebbe pagato sui profitti realizzati in Europa appena lo 0,005 per cento di tasse. Insomma, invece di mettere nuove imposte, forse basterebbe far pagare quelle vecchie.

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