Dal profano al sacro, lo spettacolo degli scandali di questa livorosa campagna elettorale americana, ormai va in onda puntuale, ogni giorno. Gli ultimi riguardano due donne scovate dal New York Times che accusano Donald Trump di averle molestate anni fa: una durante un viaggio in aereo in prima classe, l’altra di fronte ad un ascensore a Trump Tower. Il tycoon nega tutto e va avanti. L’altro scandalo di giornata, invece, è lo scambio di mail rivelato da Wikileaks, fra il direttore della comunicazione della campagna di Hillary Clinton, Jennifer Palmieri, e un suo amico. Mail in cui parlano della religione cattolica, definendola una bastardizzazione della fede, l’unica, però, socialmente accettabile in un determinato circolo di conservatori, che non vedono di buon occhio gli evangelici. Immediata la reazione dei repubblicani, a partire da Paul Ryan, che pur rifiutandosi di fare campagna per Trump, come promesso, continua a farla comunque per il partito e contro i democratici, e ha immediatamente etichettato queste mail come la dimostrazione della scarsa sensibilità dell’entourage di Hillary verso la religione. Entourage di Hillary che invece attacca proprio su questa fuga di notizie e di mail, che come dimostrerebbe un’indagine dell’FBI a riguardo, sarebbe conseguenza dell’hackeraggio russo. Un’ingerenza di Mosca contro cui la Casa Bianca promette reazioni proporzionate, ma che invece viene categoricamente smentita dal Cremlino, con il Presidente Vladimir Putin che parla di isteria da parte di Washington, nata anche per smascherare il gelo che intercorre ormai nei rapporti fra Russia e Stati Uniti. Putin, d’altra parte, accoglie con favore i continui segnali di distensione e di apertura verso la sua leadership, che arrivano da Donald Trump, un Donald Trump che si dice preoccupato di potenziali brogli in queste elezioni, mentre continua ad attaccare la Clinton, ribadendo che lei, per quello che ha fatto nella sua carriera politica, dovrebbe essere già in prigione. Hilary, da parte sua, più che in prigione è ormai in vetta ai sondaggi, anche in Stati storicamente decisivi e in bilico, come l’Ohio e la Florida, e avanza nel gradimento persino in storiche roccaforti democratiche, come Georgia e Arizona.