Divisioni e contrapposizioni. La travagliata partita dell'elezione del Presidente della Repubblica ha fatto emergere in superficie i limiti e i punti deboli di schieramenti e di molte forze politiche. A partire dal MoVimento 5 Stelle, ancora primo partito a livello numerico in Parlamento ma da tempo a rischio implosione. Nel fine settimana Di Maio ha deciso di lasciare la sua carica nel comitato di garanzia: che sia un passo indietro in funzione del chiarimento interno o un passo avanti verso il logoramento della leadership di Conte sarà il tempo a dirlo. "Un sano confronto che deve esserci, che ci sarà, che dev'essere costruttivo e deve rimettere al centro i temi. Perché alla fine credo che davvero ai cittadini di queste dinamiche interne che, se pure sono fisiologiche a tutti i partiti, aggiungono poi ben poco, no, all'agenda di un Governo". Nel caos pentastellato il fondatore Grillo ricorda -lo ha fatto nell'ultimo blog- che ci sia un limite alla durata delle cariche affinché la politica sia vocazione e non professione. Da qui a un anno, quando si terranno le elezioni, il quadro politico rischia di mutare profondamente. La galassia centrista -da Renzi a Toti, da Casini a Lupi, ai moderati azzurri- è tutta in ebollizione in attesa di capire se le regole del gioco, la legge elettorale, cambierà o meno. In un centrodestra terremotato dalle trattative per l'elezione del Capo dello Stato, Salvini dice un giorno che "la coalizione sia sciolta come neve al sole", l'altro che "c'è un anno per ridare orgoglio e unità al centrodestra". Di ricostruzione parlano anche in Forza Italia. "Dobbiamo cambiare alcune cose, dobbiamo fare uno sforzo, però mettendo sempre davanti a tutto l'interesse dei cittadini italiani. Noi ci dobbiamo proporre come una coalizione, con l'anima a mio giudizio popolare, che deve guardare al futuro del nostro Paese".