Dopo quasi due anni di pandemia, la Pubblica Amministrazione si dà delle regole per lo smart working, già contestati dai sindacati, che vedono grossi rischi sul fronte della sicurezza sanitaria e per l'impossibilità di assicurare tutte le condizioni sancite dalle linee guida presentate dal Ministro Brunetta. In questo documento, viene stabilito un principio, spesso messo a dura prova in questa pandemia: va garantita l'invarianza dei servizi all'utenza. Da dovunque si lavori insomma, il servizio deve rispettare le promesse. Rimane comunque fissato, che la modalità in presenza, è quella prevalente. In un mese, su 22 giorni lavorativi, non dovrebbe essere possibile fare più di 10 giorni in smart working. Ci dovrà essere un'adeguata rotazione del personale che fa smart e non ci sarà vincolo di orario, naturalmente nel perimetro dei Contratti di Categoria. Il lavoratore avrà diritto ad un periodo di riposo giornaliero, non inferiore alle 11 ore tra un turno e l'altro. Sul fronte sicurezza informatica, i paletti sono evidenti: non si potrà usare la propria rete domestica per effettuare il servizio, ma si dovrà usare solo la connessione fornita dal proprio Ente, probabilmente attraverso una connessione verificata. Le linee guida, fanno capire che saranno le Amministrazioni a decidere chi può lavorare in smart, in base a funzioni e necessità. Se il lavoratore è ostacolato da problemi tecnici, si legge, potrà essere richiamato in presenza. Il ritorno in sede, sarà imperativo per sopravvenute esigenze di servizio, con un preavviso di 24 ore e di il ritorno in ufficio, non comporterà il diritto al recupero delle giornate di smart working sfumate. Ora, queste linee guida dovranno essere tradotte, le oltre 32mila Amministrazioni avranno fino al 31 gennaio per prepararsi, così come i milioni di dipendenti pubblici che dovranno metterle in atto.