Da sempre i 5 Stelle sono in movimento, segnati, dall'entrata in Parlamento nel 2013, da espulsioni, correnti più o meno definite e ipotesi di scissioni vere o virtuali. Uno dei prezzi per non voler una struttura come le altre forze politiche. È la conseguenza di un potere decisionale diviso tra direttori, iscritti sulla piattaforma online e i fondatori Casaleggio – Grillo. Tra le tante espulsioni per non allineamento con i vertici quella più clamorosa nel 2016 del Sindaco di Parma Pizzarotti; nella legislatura in corso quasi 30 i parlamentari che hanno lasciato i gruppi. Paragone, l'ex Ministro Fioramonti e il Comandante De Falco, tutti in maniera diversa critici nei confronti della linea del vertice. Passaggio delicato anche quello delle europee del 2019, con una sconfitta al 17% e Di Maio viene accusato dell'alleanza con la Lega e di non aver difeso i temi identitari dei 5 Stelle, ma poi viene riconfermato capo politico online. Lo scontro più forte quello seguito all'accordo con il PD e la nascita del Governo Conte 2. Alla fine è di nuovo il fondatore a mettere tutti in riga con realismo. “Questa è un'occasione storica per il Movimento 5 Stelle, non rompete – avverte - anche perché non ricapiterà più”. L'ex comico difende Di Maio, che rimane fino allo scorso gennaio. Lascia al più anziano parlamentare, Vito Crimi. Appuntamento a marzo con gli stati generali che avrebbero dovuto decidere su una nuova guida collegiale o un nuovo capo politico, ma per ora a decidere è stato solo il coronavirus.