Ci sono quattro lettere su cui tutti i paesi del mondo stanno per discutere per due settimane a Baku in Azerbaijan. Le lettere sono: NCQG ovvero New Collective Quantified Goal. Tradotto in maniera molto libera vuol dire "quanti soldi servono per contrastare la crisi climatica". Di questo si discute alla ventinovesima edizione della conferenza ONU, cioè di come tradurre questa sigla in un numero. I soldi, da finanza pubblica e privata, che dai paesi più ricchi devono arrivare a quelli in via di sviluppo per evitare le fonti fossili e adattarsi ai cambiamenti. Un vertice quello di Baku dove inevitabilmente si rifletteranno le grandi questioni internazionali: dalla guerra in Ucraina a quella in Medioriente, fino al voto negli Stati Uniti. L'elezione di Trump, che considera il cambiamento climatico una bufala, è una grande incognita sul futuro dei negoziati. Già nel suo primo mandato aveva portato gli Stati Uniti fuori dall'accordo di Parigi, pilastro della lotta alla crisi climatica. Potrebbe fare lo stesso anche questa volta oppure potrebbe spingersi oltre e uscire direttamente dalla convenzione quadro delle Nazioni Unite. Una mossa che metterebbe ancora di più fuorigioco dalla lotta alla crisi il paese che è il maggiore emettitore al mondo pro capite e il secondo maggior emettitore in assoluto di CO2. C'è da aspettarsi allora che la palla passerà a Unione Europea e Cina, con Bruxelles che cercherà di portare Pechino dalla parte del tavolo di chi deve mettere i soldi per la finanza climatica. Perché non sarà soltanto una questione di quanto mettere sul piatto ma anche di chi, quando e come. Il tutto mentre i dati ci dicono che il 2024 sarà certamente l'anno più caldo mai registrato e il rischio di nuove Valencia si fa più concreto.