19 marzo 1994, Casal di Principe, patria del ferocissimo clan dei Casalesi. Don Giuseppe Diana viene freddato con 4 colpi di pistola nella sacrestia della sua chiesa a San Nicola di Bari dove sta per celebrare messa. Erano le 7:20 del mattino, in chiesa c'erano già alcuni fedeli perché quel giorno era anche il suo onomastico. Aveva 36 anni il prete che osò sfidare apertamente la camorra dei Casalesi. Con una lettera intitolata "Per amore del mio popolo" firmò la sua condanna a morte. Era la prima volta che qualcuno osava denunciare apertamente il sistema criminale. I traffici illeciti, i fiumi di droga, le tangenti sui lavori pubblici. Quel documento, dopo 30 anni, resta il manifesto di Don Diana contro la criminalità organizzata e la sua capacità di infiltrarsi nella società civile e nelle istituzioni locali. A 30 anni di distanza molte cose sono cambiate. Le inchieste, gli arresti, le sentenze di condanna dei boss dei Casalesi, hanno indebolito l'intera cosca e molti beni confiscati sono stati trasformati in associazioni e cooperative, come il comitato intitolato a Don Peppe Diana. "Il 19 marzo '94 è morto un prete, ma è nato un popolo.", disse il giorno dei funerali il Vescovo di Acerra Don Antonio Riboldi.