Per la quarta volta la Corte Costituzionale torna a pronunciarsi sul tema del fine vita, partendo da due nuovi casi. Quello di Elena, una signora di settant'anni con un cancro terminale, e quello di Romano, ottantaduenne con un Parkinson atipico, entrambi accompagnati tre anni fa in Svizzera da Marco Cappato, per accedere al suicidio assistito. Già nel 2019 la Consulta aveva stabilito come l'aiuto al suicidio non fosse penalmente perseguibile solo in quattro circostanze: una patologia irreversibile, una sofferenza intollerabile, la capacità di intendere e di volere del paziente e la necessità del malato di dipendere da trattamenti di sostegno vitale. Maria Letizia è affetta da una malattia rara, degenerativa ed incurabile, che da anni la costringe su una sedia a rotelle. Serenamente però ci racconta perché secondo lei la Corte deve mantenere un paletto "Mi piacerebbe uno Stato che mi dicesse, la tua vita vale talmente che la proteggiamo anche contro di te. Siccome il malato è fragile per definizione, la protezione consiste nel dire guarda che se anche hai un momento di sconforto, noi ti proteggiamo comunque". Per l'Avvocatura dello Stato, intervenuta in giudizio in rappresentanza della Presidenza del Consiglio, non c'è un diritto al suicidio né un obbligo dei medici di concorrere ad una volontà suicidaria. "Non voleva perdere la sua dignità e non avrebbe avuto alternative. Non avrebbe accettato una sedazione profonda, non avrebbe accettato di fare quella fine insomma, e quindi ha chiesto questo aiuto". "Lui ha sempre detto che se la vita lo avesse messo davanti a una scelta, lui avrebbe voluto essere libero di scegliere. E quando purtroppo è successo, dopo tre anni di battaglia con la malattia, si è trovato a un certo punto a dire adesso basta". .