Novembre 2017, la diagnosi tumore, sede pancreas. Un terzino cattivo, scorretto, un tackle infame, un morso nella carne per lasciarti un destino, il destino è un centrocampista anarchico, non sai mai come imposta il gioco. Così la palla sei andato a prenderla nelle retrovie per evitare il lancio lungo, troppo lungo anche per te. E così hai cominciato il duello, obiettivo stancare l'avversario, in panchina c'è David Cunningham, oncologo di fama, ti dice che hai speranza, ti basta. La sala operatoria, la chemio e riesci a spedire il male nel sottoscala del libro di patologia, a proposito, tu un libro l'hai scritto, dentro tante storie, molte citazioni, ne scelgo una: "Gli ostacoli sono quelle cose spaventose che vedi quando distogli gli occhi dalla meta". L'ha detta Henry Ford, l'hai fatta tua. Ma la paura è umana, talvolta ti fa scivolare nella debolezza, così confessi, ti chiudi in bagno e piangi. Ma l'ottimismo riapre la porta, torni a coltivare speranze, l'angoscia finisce quasi sempre in fuorigioco. Ti serve tempo per i tuoi genitori, tua moglie, le tue figlie. Ti serve un secondo tempo, un secondo tempo nel quale palleggi tra malattie e vita, evitando che la concorrenza tra le due sia troppo forte, un secondo tempo nel quale c'è il 11 luglio a Wembley e quell'abbraccio con Mancini, l'atto perfetto, la Stretta, le lacrime, l'abisso è lontano. Poi dagli spogliatoi il terzino ha urlato qualcosa, è entrato in campo senza chiedere permesso, il destino che appena dato il tempo di allacciarti gli scarpini, poi lancio lungo, troppo lungo e pure ci sei arrivato lo stesso, ma il pallone è caduto senza rimbalzare, si è fermato. Il ghigno del terzino si è fatto di marmo e tu hai capito. In realtà lo avevi capito anche prima. Vorrei che tanti capissero come si crede e si lotta, vorrei in tanti adesso leggessero il tuo libro "Goals" con quella S finale, plurale S come speranza, S come sofferenza, S come sei stato grande.