Ancora il tempo di un saluto, l’ultimo, un addio: “Mamma, mi sono resa conto che sto morendo. Grazie per quello che hai fatto per me. Sto per andare in cielo. Vi aiuterò da lì”. Poi il silenzio. Volevano fare gli architetti Gloria Trevisan e Marco Gottardi. Per questo tre mesi fa avevano preso un aereo e una valigia ed erano partiti per Londra dove avevano trovato lavoro e casa, lasciando la famiglia in Veneto. La casa era al ventitreesimo piano della Grenfell Tower in North Kensington, neanche male per due ragazzi di ventisei anni, fino a martedì notte. Verso l’una la prima telefonata di Gloria: “Mamma, è successo qualcosa”. Allarmati i genitori nella loro casa a Camposampiero, in provincia di Padova, cercano notizie ma non trovano nulla. Passa un’ora e squilla di nuovo il telefono, questa volta Gloria è agitata. Ci pensa Marco, il fidanzato, a tranquillizzarli: “Ci sono i pompieri, state tranquilli”. Quando le immagini appaiono sulle televisioni italiane, l’angoscia dei genitori cresce perché Gloria, la loro figlia, è lì intrappolata in quella torre a millecinquecento chilometri di distanza da loro. Li chiama di nuovo: “Da qui non possiamo uscire. Siamo bloccati nell’appartamento”. Emanuela Disarò avverte il padre di Marco di quello che sta succedendo. Così anche per lui è arrivato il tempo delle ultime telefonate. Prima il tentativo di tranquillizzare quel genitore così lontano ma con il cuore in quell’inferno: “Papà non ti preoccupare, qui finisce tutto bene”. E poi la paura: “Qui sta aumentando il fumo”, facendo cadere per sempre la linea.