Le immagini della statua di Affez el Assad, il dittatore, che viene abbattuta ad Hama è quella che restituisce maggiormente il quadro della situazione in Siria. Hama, nel nord-est, è stata nel 1982 uno degli epicentri della rivolta anti-regime che poi ha dato il via al collasso della Siria in una delle più sanguinose e violente guerre civili nate dalle ceneri delle primavere arabe. Ora che i miliziani della Hayat Tahrir al Sham assediano Homs, altra città martire della repressione dei lealisti, l'impressione è che la Siria di Assad sia vicina al capolinea. Le difese crollano come tessere di un domino in un'avanzata che non sembra trovare ostacoli. E anche i raid aerei con il sostegno russo e iraniano non sortiscono effetto. HTS, la sigla dei ribelli, dilaga, tanto che il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, sostenitore del gruppo, ha dichiarato che Damasco sarà il prossimo obiettivo dei ribelli. Ha anche aggiunto di aver chiesto ad Assad un confronto ma di non aver ricevuto una risposta. E in effetti, dopo Hama e Homs, la direttrice a sud porta alla capitale dove è probabile che si assisterà alla resa dei conti. Sempre che le forze lealiste non si dissolvano prima, come hanno fatto finora. Anche perché nel frattempo le forze curdo-siriane, in una sorta di tregua strategica col nemico giurato turco, hanno attaccato Deir Az Zor, a est, in modo che Damasco sia potenzialmente stretta in una manovra a tenaglia, da nord e oriente. Una "pace di comodo" sancita dal capo delle forze curde in Siria, vicine agli Stati Uniti, che in passato hanno combattuto contro gli jihadisti dell'Isis. Si è detto aperto ai colloqui con i ribelli islamici filo-turchi e ha affermato che le loro conquiste annunciano una nuova realtà politica. Nel frattempo l'esercito siriano si è affrettato a smentire che Homs stia cadendo, un comunicato che però si scontra con l'evidenza.