Ogni crisi si dice porta con sé anche un'occasione, la possibilità di cambiare il corso delle cose, magari di migliorarlo. E l'attacco iraniano a Israele potrebbe rappresentare questo nella difficilissima situazione mediorientale. O meglio, potrebbe essere un motivo di riavvicinamento tra Israele e i Paesi arabi che si oppongono all'Iran persiano e sciita. Nel 2020, Israele già in relazione diplomatiche con Egitto e Giordania, aveva firmato i cosiddetti accordi di Abramo, sancendo la pace con gli Emirati, il Bahrein, il Marocco e si era avvicinato molto all'Arabia Saudita. La crisi di Gaza, però, e la conseguente spinta dell'opinione pubblica e delle masse arabe del Medio Oriente, aveva reso di nuovo molto difficile i rapporti tra il Governo Netanyahu e quelli di questi Paesi. Nell'attacco della notte tra sabato e domenica, però, si è immediatamente ricreato un fronte comune che vede nell'Iran la vera minaccia e il vero nemico alla stabilità dell'area. La Giordania, sul cui spazio aereo transitavano gli ordigni iraniani diretti verso Israele, ne ha abbattuti a decine e ha chiesto il permesso lei l'intervento degli alleati occidentali di Gerusalemme per distruggere i droni e i missili di Teheran sui suoi cieli. Indiscrezioni di stampa raccontano che l'Arabia Saudita e gli Emirati Arabi abbiano condiviso le loro informazioni di intelligence sull'attacco iraniano con gli Stati Uniti e in parte direttamente con Israele, in uno scambio di dati sensibili sulla difesa che è stato impostato anni fa ed era già operativo. La paura di un Iran nucleare e pronto a colpire fuori dal suo territorio, unisce i nemici di Teheran come gli stati arabi sunniti e Israele più di quanto divida l'operazione anti Hamas su Gaza, che sta causando decine di migliaia di vittime. E un rinnovato dialogo tra Israele e le principali capitali del mondo arabo come Riad, Amman o Cairo, potrebbe avvicinare anche una soluzione alla crisi di Gaza. Almeno questa è la speranza dei più ottimisti.