L'area metropolitana di New York da sola, macina più PIL dell'Australia, o della Spagna. Eppure c'è chi nel mondo post pandemia decide di lasciarsela alle spalle e trasferirsi altrove. In periferia o più lontano. Non si impacchettano scatoloni solo nella grande Mela é il modello dei colossali conglomerati urbani a essere in crisi negli Stati Uniti, in quelle 10 città risiede meno di un quarto della popolazione americana, ma si sfornano più di metà dei brevetti della nazione e un terzo della produzione industriale. Mentre la curva pandemica non accenna ad appiattirsi, lo smart working permette una delocalizzazione prima impensabile. Secondo l'università di Chicago potrà essere svolto da remoto il 40% dei mestieri, e la stessa percentuale, 4 impiegati su 10, resterà collegata da casa se e quando quando l'emergenza sanitaria si spegnerà. Così hanno calcolato i ricercatori di Harvard. Tradotto questo dato vale il 16% della forza lavoro nazionale, con una sperequazione: si tratta soprattutto delle classi sociali più educate e quindi pagate meglio, non tutti insomma, potranno permettersi la fuga dalla metropoli. Fra il 1980 e il 2018 il reddito di un newyorchese è salito insieme al costo della vita, dal 118 al 141% della media nazionale. Impennate simili si sono registrate a Boston dal 109 al 144%, a San Francisco dal 137 al 183%, e Seattle dal 120 al 137%. Insieme al turismo che si è volatilizzato, a New York é la peggiore crisi dagli anni 70, potrebbero diradarsi anche gli abitanti della giungla di cemento. Con una connessione internet si possono inseguire i sogni anche da un appartamento meno claustrofobico.