Solitamente silenzioso sul polverone montato dall'ex Presidente per la perquisizione subita interviene direttamente il Ministro della Giustizia. Merrick Garland rivendica personalmente la decisione di mandare l'FBI a cercare documenti a casa di Trump e per sgombrare il campo dei dubbi chiede alla Corte che l'ha autorizzata di rendere pubblico il mandato di perquisizione contenente il perché e il percome ovvero l'elenco del materiale cercato e trovato e delle leggi che sarebbero state violate. Nero su bianco si saprà quindi se Trump abbia effettivamente commesso illegalità o sia vittima, come sostiene, di una persecuzione politica. La palla ora è nel campo dell'accusato che ha tempo fino alle 21 italiane per acconsentire alla divulgazione del mandato o rifiutarla. Alla luce dei fatti comunque la ricostruzione fatta dall'ex Presidente di un raid punitivo è quantomeno esagerata. Gli archivi nazionali avevano educatamente chiesto di avere gli scatoloni che Trump si era portato in Florida di nascosto subito dopo che questi aveva lasciato la Casa Bianca. Dopo mesi alcuni sono stati restituiti, altri no. In primavera un grand jury emise un mandato di riconsegna, bellamente ignorato. A giugno l'FBI bussò discretamente alla porta di Trump, lui presente, per sollecitare. Ma ancora niente. Qualche settimana fa una soffiata ha rivelato dove fossero nascoste le carte classificate. Previa autorizzazione della Corte competente l'FBI ha avvisato i Servizi Segreti a protezione della villa e alle 9 di mattina ha mandato uomini in borghese a recuperare il maltolto. Qualche ora dopo Trump grida all'intimidazione politica. Una domanda, la più importante, resterà ancora senza risposta almeno per un po'. Cosa dimostrerebbero quei documenti così preziosi per Donald Trump?.