"Questa è una finale per me, il risultato che emergerà sarà un lascito ai fratelli che verranno dopo." Parole di Recep Tayyip Erdogan pronunciate però prima che nel giorno di Pasqua le amministrative decretassero il trionfo dell'opposizione al suo partito e dunque alla sua leadership. Il dopo, il futuro per il Presidente turco che del culto di se stesso ne ha fatto una questione politica prioritaria, che ha guidato il Paese vincendo in passato sì sfide democratiche ma anche imponendo svolte autoritarie al momento resta un enigma perché Erdogan è all'ultimo mandato anche se l'ultima è a rigor di legge doveva essere precedente e quindi il suo lascito potrebbe passare da un'ulteriore riforma costituzionale che il leader turco ha più volte evocato negli ultimi mesi con l'obiettivo di accentrare ancor maggior potere inserendosi in una disputa tra la Corte di Cassazione e la Corte Costituzionale consolidando la presa sul potere giudiziario affinché il Paese resti saldamente nelle sue mani. Del resto Erdogan ha più volte paragonato la democrazia come un qualcosa di simile ad un tram dove si sale finché non si arriva a destinazione e dal quale poi si scende. Fondamentale per il futuro della Turchia che va oltre al suo riconoscimento formale della sconfitta avvenuto a breve distanza dal risultato elettorale sarà comprendere come pensa, se realmente lo pensa, di lasciare il potere, potere che negli anni è rafforzato anche per i sindaci delle grandi città che puntava di riconquistare per ragioni affettive essendo la sua ascesa partita dalla carica di primo cittadino ad Istanbul che politiche con la metropoli sul Bosforo che da sola vale un terzo della produzione economica turca. Un boccone forse troppo amaro da digerire per il sultano è la riconferma del sindaco uscente Ekrem Imamoglu fiero oppositore del presidente turco che puntava invece sulla guida della città da parte del suo candidato per consolidare la sua eredità politica.