Il saluto con i suoi Ministri dura poco più di un quarto d’ora. Come annunciato subito dopo la sconfitta, Matteo Renzi conferma le dimissioni, che però deve congelare almeno fino a venerdì. Il Senato deve ancora dare il via libera alla legge di bilancio e per farlo serve un Governo. “Lo faccio per senso di responsabilità”, ha spiegato Renzi, che avrebbe voluto lasciare sin da subito. Troppo pesante la sconfitta per restare anche solo un minuto di più. Ma far saltare la manovra sarebbe troppo pesante e rischioso per il Paese, motivo per cui si va avanti ancora per 72 ore, con Palazzo Madama che dovrà approvare il tutto così com’è, senza nessuna modifica. A chiedergli di non fare passi troppo affrettati è stato direttamente il Capo dello Stato, che Renzi aveva incontrato in mattinata, prima di ritornarvi a fine giornata. In mezzo un via vai di incontri a Palazzo Chigi. Renzi non ha escluso di mollare anche la guida del PD, ma è proprio dal suo partito – minoranza inclusa – che arriva l’invito a non farlo. Resta il partito di maggioranza relativa e sarà lui a dover esprimere il prossimo Governo: senza un segretario è impossibile. Si prende tempo. La Direzione da domani slitta a mercoledì. Renzi valuterà il da farsi. C’è chi butta lì l’ipotesi di un congresso già a febbraio, ma prima di ogni decisione bisognerà capire la natura del nuovo Governo. Se lo scopo è fare una legge elettorale per andare al voto il prima possibile, casomai già ad aprile, lo spazio per un congresso potrebbe non esserci. La short list per il nuovo Premier include di fatto tre nomi. Il primo è il Ministro Padoan, quello che tranquillizza di più Bruxelles, senza dimenticare i rapporti con D’Alema, che lo renderebbero quasi anche un garante della minoranza. Il secondo è Paolo Gentiloni, affidabile, ma forse troppo renziano. Sullo sfondo, il Presidente Grasso, istituzionale, ma che a sua volta aprirebbe il problema della sostituzione a Palazzo Madama.