Rifiutata. Così è scritto sulla citazione a comparire inviata dall'avvocato Ballerini al Presidente egiziano, citato come testimone. Quindi né Al-Sisi né suo figlio saranno ascoltati nel processo a carico di quattro agenti dei servizi egiziani per il sequestro, le torture e l'omicidio di Giulio Regeni, scomparso il 25 gennaio al Cairo e trovato senza vita il 3 febbraio 2016. Giorni in cui i genitori, gli amici, l'ambasciata italiana in Egitto lo hanno cercato senza risultato. Un muro di reticenza era stato alzato, fin da subito, intorno al destino del ricercatore friulano. "Parecchia reticenza, esatto. Era la prima volta, non era mai capitato. E fin dall'inizio dicono di non sapere chi fosse Giulio Regeni, dicono di non avere alcuna traccia". Di apparente collaborazione e di rapporti tesi parla Giuseppe Conte che dal 2018, da Presidente del Consiglio, racconta dei ripetuti tentativi fatti per ottenere dall'Egitto informazioni sul caso. "Non c'è stata occasione, e l'ho ricordato, telefonica o di incontri, summit, in cui non abbiamo insistentemente, non ho insistentemente richiesto cooperazione e collaborazione, che obiettivamente non c'è quasi stata". In Aula anche Federica Guidi, allora Ministra per lo Sviluppo Economico che era al Cairo quel 3 febbraio 2016 e l'ambasciatore Armando Varricchio, all'epoca consigliere diplomatico di Palazzo Chigi. Un processo difficile, fatto di tensioni a volte, di verità nascoste e di amara consapevolezza. "Pur essendoci stata la massima allerta da parte della Farnesina fin dal primo momento, questa allerta non è stata comunicata in tempo al Presidente del Consiglio. Noi abbiamo sentito il Presidente del Consiglio dire: se l'avessi saputo prima Giulio sarebbe salvo. Queste parole per noi sono dei macigni". .