Le differenze restano, ma la Cassazione segna un piccolo passo verso l'avvicinamento delle unioni civili ai matrimoni, quantomeno nella normativa che regola l'assegno di mantenimento, i due istituti si equivalgono. La Suprema Corte ha infatti stabilito che questo tipo di prestazione economica, che un partner può essere obbligato a versare all'altro dopo lo scioglimento del rapporto, non sarà più riservata alle coppie unite in matrimonio, ma potrà essere corrisposta anche nel caso di fine di un'unione civile e quindi può eventualmente essere applicata anche alle coppie omosessuali. Sono circa 3.000 all'anno le unioni civili in Italia, a fronte di 184.000 matrimoni, secondo gli ultimi dati Istat riferiti al 2023. La vicenda processuale nasce dal ricorso presentato da una donna che, unitasi civilmente alla compagna nel 2016, dopo lo scioglimento ha chiesto che l'ex partner le fornisse un sostegno economico. Alla base della richiesta c'era il fatto che lei avesse rinunciato alla propria attività per favorire la carriera della compagna. La donna aveva ottenuto un assegno di €550 mensili ma la Corte d'Appello di Trieste nel 2020 l'aveva revocato e così lei si è rivolta alla Suprema Corte. La Cassazione ha ribaltato la decisione precedente, spiegando che nonostante l'unione civile presenti delle differenze rispetto al matrimonio, si applica anche ad essa l'articolo 5 della legge sul divorzio del 1970, perché anche l'unione civile è una specifica formazione sociale, ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione. .























