Poco meno di due mesi fa l'audizione di Carlos Tavares in Parlamento mostrava plasticamente il contrasto e la reciproca antipatia tra la politica e l'ormai ex amministratore delegato di Stellantis. Le accuse erano reciproche e gravi. Tavares per una schiacciante maggioranza dei parlamentari si era rivelato un manager poco capace e soprattutto aveva tradito le promesse fatte all'Italia su occupazione, centralità delle fabbriche tricolore, numero dei veicoli prodotti, in cambio ben inteso, di cospicui incentivi già erogati soprattutto per la vendita degli autoveicoli nuovi. E Tavares, dal canto suo, accusava la politica di un altro tradimento cioè di non sostenere abbastanza dal punto di vista finanziario una transizione epocale, complicatissima, aveva fatto pure capire il capo azienda di Stellantis, che lui non chiedeva nessun cambiamento delle norme, nessun rinvio dello stop ai motori cosiddetti endotermici. Al contrario di altre aziende europee concorrenti perché la corsa al cambiamento comporta investimenti enormi in termini finanziari e di capitale umano e, secondo Tavares, tutto questo Stellantis lo aveva fatto, il resto aspettava alla politica che gli sedeva davanti. Finché le economie di scala e la frontiera tecnologica non avessero abbassato i listini le scelte dei consumatori dovevano essere incentivate con soldi pubblici. Ora è piuttosto evidente che sbagli ci sono stati da entrambe le parti. Tavares si è dimesso, sembra con grande vantaggio del suo personale conto economico e la politica resta dov'è e pensa una marcia indietro verso i motori termici. I consumatori non sanno cosa fare fare, chi ha scelto l'elettrico si sente ingannato, chi non ha scelto non compra e se compra vuole l'usato, bloccando il mercato. L'intero settore è in crisi in tutta Europa, giganti come Volkswagen sono in ginocchio, altri vacillano, difficile dire se sia a causa della scelta di Bruxelles di qualche anno fa o dell'invecchiamento della popolazione per cui l'automobile non è più un oggetto così interessante dei giovani che non vedono in quell'oggetto ancora un simbolo dell'entrata per il cammino nell'età adulta oppure della tecnologia, che rende la mobilità meno necessaria. È quello che scrive Mario Deaglio sulla Stampa. La crisi dell'automotive è fenomeno estremamente complesso. Il problema non è un manager antipatico e occorre fare grande attenzione che la cura, che molti invocano, la vendetta del motore a scoppio, non sia peggiore del male.