Un'opportunità imperdibile, un intervento epocale, non mancano gli aggettivi nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per sottolineare la portata dell'operazione che punta a far uscire il nostro Paese dalla crisi e dare una svolta alla nostra economia. Al di là degli aggettivi sono i numeri a parlare: l'Italia entro il 2026 intende spendere 222,1 miliardi dei quali 191,5 di fondi europei, il Recovery Fund vero e proprio, mentre il resto sono denari statali presi a debito. Per completare il quadro bisogna ricordare che Bruxelles ci mette a disposizione altre risorse: 13 miliardi non inseriti nel Piano da presentare all'Europa e che fanno parte del Next Generation EU, il programma continentale per superare la crisi, innescata dal Covid, del quale l'Italia ha la fetta più grande. L'obiettivo del nostro Esecutivo si può sintetizzare in due cifre: nello scenario migliore si avrà una spinta aggiuntiva al nostro Prodotto Interno Lordo del 3,6% al 2026 e un aumento simile dovrebbe avere la crescita dell'occupazione. Si tratta di stime che guardano alla fine del periodo entro il quale si dovranno utilizzare i quattrini europei. Gli effetti sulle nostre vite però dovrebbero superare quest'arco temporale, visto che gli investimenti sono duraturi nel tempo. Collegamenti ferroviari più rapidi, soprattutto al Sud, industrie meno inquinanti, più posti negli asili nido e scuole moderne, assistenza sanitaria più efficiente, internet veloce in modo capillare. È solo qualche esempio. I progetti che devono passare il vaglio dell'Europa sono centinaia, per la maggior parte nuovi, altri già presenti nel cassetto e tutti contenuti nei sei capitoli nei quali saranno ripartiti i fondi. Ambiente e digitale le due voci più corpose così come previsto dalle regole comunitarie. A vigilare sarà il Ministero del Tesoro, chiederà materialmente i soldi a Bruxelles e controllerà l'attuazione dei lavori affidati ai vari Dicasteri e agli Enti Locali, direttamente responsabili sia per l'impiego delle risorse sia per il rispetto dei tempi.